Posts by: Clinical Control

Celiachia, in Italia aumentano in casi di intolleranza al glutine

Celiachia, in Italia aumentano in casi di intolleranza al glutine

Sono 200mila le persone che in Italia soffrono di celiachia ma potrebbero essere molte di più, perchè spesso chi ne è affetto non sa di esserlo

Un problema nascosto per molti che non sanno di essere affetti di celiachia perchè la malattia non manifesta sintomi. Sono 200 mila i soggetti ufficiali affetti da celiachia ma potrebbero essere oltre 400mila, si tratta quindi di casi non diagnosticati. I dati sono stati diffusi di recente direttamente dal Ministero della Salute.

Un incremento dei casi che potrebbe dipendere da diversi fattori, fra cui: un maggiore consumo di alimenti che contengono glutine; criteri di diagnosi più avanzati che permettono di individuare la malattia in un numero maggiore rispetto al passato.

Celiachia, in Italia aumentano in casi di intolleranza al glutine
Celiachia, in Italia aumentano in casi di intolleranza al glutine

La celiachia è una malattia autoimmune che colpisce in Italia, fra i casi acclarati, 139mila donne e 59mila uomini. La maggiore incidenza nel sesso femminile può dipendere dagli ormoni sessuali.

Vediamo alcuni luoghi comuni sulla celiachia. Il primo è il confonderla con l’allergia al glutine. La celiachia infatti non è un’allergia ma un’intolleranza al glutine. La persona che ne è affetta nasce già con una predisposizione genetica, tuttavia la malattia può presentarsi anche in età adulta.

Ovviamente un paziente celiaco non può mangiare i cereali che contengono il glutine, il quale si trova nel frumento, grano, segale, orzo, farro. Lo stesso paziente però, può mangiare riso, sorgo, teff, mais nonchè tutti gli pseudocereali come quinoa, amaranto, grano e miglio. Anche i salumi possono contenere il glutine, a volte infatti sono realizzati con latte in polvere che viene prodotto con aggiunta di farina di frumento ricco di glutine.

Fra gli alimenti ammessi c’è il latte ma in questo ambito si deve prestare attenzione agli yogurt, che non devono contenere aromi o altre sostanze che potrebbero potenzialmente contenere glutine.

Anche al caffè bisogna stare attenti, perchè spesso alcune bevande al caffè contengono glutine. Fra queste il caffè al ginseng, le bevande al gusto di caffè al ginseng, le cialde per bevande calde. Sono da evitare assolutamente se non presentano l’indicazione “senza glutine” il caffè solubile, i surrogati del caffè, le bevande ed i preparati a base di cereali.

Nessun problema per le spezie naturali. Non è così invece per quelle aromatizzate o le miscele di spezie al sale aromatizzato, alla salsa di soia, al curry, ma anche agli aromatizzanti e al lievito per dolci e allo zucchero al velo, spesso addizionato di amido di frumento. Il paziente celiaco deve far attenzione anche al cioccolato e leggere sempre le etichette. Spesso infatti, il cacao può essere stato lavorato in luoghi contaminati che contengono uno o più ingredienti che a loro volta contengono glutine.

La celiachia è una malattia che può dipendere da diversi fattori, per questo detta multifattoriale, in cui la presenza di geni predisponenti è un fattore necessario per l’insorgenza. Al momento, nessuno studio o ricerca scientifica sono riusciti a dimostrare che eliminando il glutine dalla dieta, aiuta a prevenire la malattia.

In ultimo, chi non soffre di celiachia può portare a importanti deficit nutrizionali, perchè comporterebbe una esclusione di nutrienti importanti e utili nella prevenzione del rischio di diverse disturbi come quelli cardiovascolari e del diabete.

70enni, il cuore invecchia più lentamente rispetto a 10 anni fa

70enni, il cuore invecchia più lentamente rispetto a 10 anni fa

Grazie alla prevenzione, infarti e ictus arrivano dieci anni più tardi rispetto al passato, il cuore dunque invecchia più lentamente

Gli anziani di oggi, rispetto a quelli di 20 anni fa, al pari di età, sembrano molto più giovani e difatti gli infarti si presentano 10 anni più tardi. Ad affermarlo, gli esperti della Società Italiana di Cardiologia geriatrica e dal gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa.

cuore
cuore

Il motivo è dovuto al trattamento con le statine dell’ipercolesterolemia e dell’ipertensione arteriosa che ha provocato un crollo delle malattie cardio e cerebrovascolari, ovvero di infarti ed ictus, dovuto alla riduzione delle malattie da aterosclerosi.

La comparsa dell’infarto ha superato i 70 anni mentre all’inizio di questo secolo si attestava sui 65 anni e nel decennio precedente inferiore ai 60 anni.

Uno studio condotto su 2mila persone di età compresa fra i 65 e gli 84 anni, ha tuttavia rilevato una problematica sorta da questo allungamento dei tempi riguardo la comparsa dell’infarto ed è relativo alla disfunzione della pompa cardiaca.

Una problematica attribuita alla naturale degenerazione delle fibre cardiache più che alla loro perdita dovuta ad infarto. Un aspetto che pone queste persone al rischio di sviluppare insufficienza cardiaca.

A tal proposito, la SICGe (Società Italiana di Cardiologia geriatrica), ha messo a punto un progetto che toccherà tutto il territorio nazionale chiamato “Il cuore di … ” e prenderà il nome di volta in volta, del luogo ove verrà fatta la rilevazione. Si tratta di un grande progetto di prevenzione, studiato insieme a Federanziani, che si pone come obiettivo l’analisi di come sia cambiata la biologia del cuore degli anziani di oggi rispetto al passato.

Il progetto si svolgerà eseguendo uno studio ecocardiografico del cuore degli anziani e dei grandi anziani, presi a campione, come fatto già nello scorso autunno a Rimini, su 149 soggetti di età media pari a 73 anni. Già in quell’occasione si è potuto constatare come risultava elevata la percentuale di disfunzioni valvolari cardiache.

Ciò a conferma che a causa della riduzione delle malattie coronariche, il trascorrere del tempo agisce facendo insorgere nuove patologie, inerenti invece il fenomeno della degenerazione dei tessuti, che sono ritenute tuttavia fisiologiche ma spesso prevenibili per ottenere un aumento della durata della vita in buona salute.

Attacchi epilettici, scoperto un congegno che può prevederli

Attacchi epilettici, scoperto un congegno che può prevederli

La scoperta è frutto del lavoro di un gruppo di esperti australiani, che hanno sviluppato un congegno capace di prevedere un attacco di epilessia con circa 30 minuti di anticipo.

Grazie ad una semplice cuffia in testa si possono predire, con un’accuratezza dell’80%, i segnali antecedenti ad una crisi di questo tipo. Così la persona interessata può avere tutto il tempo di prepararsi per trovare un luogo sicuro e ridurre l’alta percentuale di stress derivante da problemi del genere. A pubblicare lo studio Neural Networks, che descrive come i ricercatori guidati da Omid Kavehei della facoltà di ingegneria e IT dell’Università di Sydney, si sono avvalsi del supporto dell’intelligenza artificiale.

“L’intelligenza artificiale è capace di individuare modelli nascosti nei dati, non rintracciabili con tecniche convenzionali. – precisa Kavehei – Molti credono che gli attacchi siano casuali, ma vi sono comunque degli schemi ricorrenti nel periodo immediato che li precede”. Il congegno progettato va posizionato su un’anca ed è in grado di far scattare un allarme fra 5 e 30 minuti prima di un attacco.

L’epilessia è una condizione neurologica (in alcuni casi definita cronica, in altri transitoria, come per esempio un episodio mai più ripetutosi) caratterizzata da ricorrenti e improvvise manifestazioni con improvvisa perdita della coscienza e violenti movimenti convulsivi dei muscoli. Gli attacchi epilettici sono il risultato dell’attività eccessiva e anormale dei neuroni (le cellule del cervello) della corteccia cerebrale. Sono circa 65 milioni le persone nel mondo che soffrono di questo disturbo. Fino ad oggi solo un intervento chirurgico è in grado di individuare attacchi imminenti. Da qui a breve gli studiosi dell’equipe guidata da Kavehei si concentreranno in maniera ancora più accurata sulle reti neurali.

Il tumore al polmone può essere individuato con un esame del sangue

Il tumore al polmone può essere individuato con un esame del sangue

Tenere sotto controllo costantemente lo stato del proprio sangue potrebbe essere un buon metodo per evitare spiacevoli sorprese e in alcuni casi magari intervenire repentinamente su eventuali malattie.

Con un semplicissimo test del sangue, chiamato biopsia liquida, si può individuare un tumore al polmone nello stadio iniziale. Lo ha reso noto il primo autore dello studio, Geoffrey Oxnard, del Dana Farber Cancer Institute-Harvard Medical School di Boston, che si definisce “eccitato da questi risultati iniziali, che dimostrano che è possibile individuare questa neoplasia precocemente da campioni di sangue utilizzando il sequenziamento del genoma”.

La scoperta è alla base di uno studio molto più grande in atto, CCGA (Circulating Cell Free Genome Atlas): già nella fase preliminare si è palesata l’evidenza di come questo particolare test del sangue sia in grado di dimostrare la presenza di un cancro al polmone ancora in fase iniziale. Lo studio è stato presentato qualche giorno fa al congresso dell’American Society of clinical oncology (Asco) e rientra tra i primi studi che prendono in considerazione l’esame del DNA circolante come strumento valido per effettuare una diagnosi precoce di cancro.

L’esame è risultato attendibile nel 90% dei casi analizzati, tanto che il National Health Service (Nhs), il servizio sanitario inglese, lo adotterà per ottenere diagnosi precise e tempestive. Nello studio americano che ha dato eccellenti risultati sono state coinvolte 1.600 persone, 749 sane e 878 a cui da poco era stato diagnosticato un tumore. Un notizia d’eccezione perché scoprire in anticipo una neoplasia toracica è molto difficile e, a oggi, la mortalità per questo tipo di cancro resta alta anche perché il più delle volte lo si scopre in fase avanzata.

Pressione alta: la proteina galectina-1 può abbassarla

Pressione alta: la proteina galectina-1 può abbassarla

Scoperta dai ricercatori del National University of Singapore una funzione importante della proteina galectina-1, che agisce abbassando la pressione alta.

Ogni anno l’ipertensione causa 7,5 milioni di morti nel mondo, circa il 12% del totale di tutti i decessi. Sono questi i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità che per l’appunto, allarmano la comunità scientifica al lavoro per trovare una soluzione.

A Singapore, ad esempio, i ricercatori del National University hanno scoperto una funzione importante della galectina-1. Secondo gli studiosi, tale proteina è in grado di influenzare a sua volta, la funzione di un’altra proteina di tipo-L del canale di calcio, che agisce per contrarre i vasi sanguigni.

Pressione alta: la proteina galectina-1 può abbassarla
Pressione alta

La riduzione delle attività di questi canali permette alla galectina-1 di agire abbassando al pressione del sangue. I pazienti sono considerati con ipertensione di stadio 1 e stadio 2, proprio in base a ciò, devono seguire due raccomandazioni diverse.

I pazienti con ipertensione di stadio 1 devono cambiare lo stile di vita per ridurre il rischio di incorrere in ulteriori problematiche come ad esempio in altre malattie.

I pazienti che invece soffrono di ipertensione di stadio 2 o superiore, per affrontare il problema devono assumere dei farmaci antipertensivi che bloccano i canali di calcio.

Tali farmaci sono tradizionalmente usati per abbassarla, ma il loro uso è associato a un rischio maggiore di insufficienza cardiaca nei pazienti ipertesi, in particolare per quelli con problemi cardiaci.

Secondo gli studiosi di Singapore, lo sviluppo di farmaci che potrebbero regolare l’attività del canale del calcio di tipo L può portare a realizzare nuove terapie anti-ipertensive.

Una persona su tre al mondo soffre di pressione alta ma non lo sa

Una persona su tre al mondo soffre di pressione alta ma non lo sa

Una persona su tre al mondo soffre di pressione alta senza saperlo, anche per questo, di recente, Federfarma ha realizzato una campagna di sensibilizzazione e di screening in seimila farmacie

Più di un terzo delle persone al mondo soffre di pressione alta, un problema che ogni anno provoca 10 milioni di decessi. Ciò che emerge da uno studio condotto a livello globale dai ricercatori dell’Università dell’Australia Occidentale però, è che sono moltissimi coloro che ne soffrono senza esserne coscienti.

pressione alta
pressione alta

Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista medica Lancet Global Health, ha analizzato 1,2 milioni di persone aventi un’età pari a 18 anni, in 80 paesi in tutto il mondo. Il risultato è stato che il 34,5% delle persone sottoposte a controlli, presentava la pressione alta, oltre 140/90.

Il dato rilevante è che di queste persone, il 17% non stava osservando alcun trattamento mentre il 46,7% stava ricevendo un trattamento, tuttavia la pressione sanguigna non risultava ancora nella norma, dunque fuori controllo.

“Ciò che è davvero allarmante -ha affermato l’autore principale dello studio Markus Schlaich- è che quasi la metà delle persone che erano già in cura per l’ipertensione avevano ancora una pressione sanguigna superiore ai livelli raccomandati. In altre parole metà dei pazienti sono trattati in modo inadeguato”.

La cosa starna è che la disponibilità dei farmaci c’è, ma secondo Markus Schlaich ciò si verifica perché “in gran parte, è dovuto al fatto che le persone non assumono i medicinali in quanto hanno avuto effetti collaterali o temono di averne”.

Nel frattempo in Italia, si è tenuta l’iniziativa “Abbasso la pressione!”, organizzata da Federfarma dando la possibilità agli utenti di approfittare di queste giornate di prevenzione che hanno costituito la prima campagna nazionale per il controllo dell’ipertensione.

Un’iniziativa che ha visto la misurazione gratuita della pressione e consigli utili su come prevenire o affrontare il fenomeno. Le farmacia coinvolte per lo screening gratuito sono state 6.000 in tutta Italia.

Un gel per riparare i danni al cervello provocati dall’ictus

Un gel per riparare i danni al cervello provocati dall’ictus

Una innovativa sostanza “gel biotech” testata sui topi, ha rigenerato le connessioni nervose andando a riparare i danni al cervello provocati dall’ictus

Un esperimento che offrirebbe nuovi scenari per tutte quelle persone che sono state colpite da ictus cerebrale è stato svolto con successo dai ricercatori dell’Università della California a Los Angeles.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Materials. “Questo studio indica che nuovo tessuto cerebrale può essere rigenerato in quella che prima era solo una cicatrice inattiva del cervello” – ha spiegato il neurologo Stanley Thomas Carmichael.

ictus
ictus

La problematica, derivante dalla lesione provocata dall’ictus, è costituita dal tessuto cerebrale “morto” che viene riassorbito, lasciando una cavità priva di vasi sanguigni, neuroni e fibre nervose.

I ricercatori californiani hanno quindi pensato di produrre uno speciale gel che, una volta iniettato nel cervello, agisce cambiando spessore e consistenza, assumendo le proprietà del tessuto cerebrale formando una sorta di ‘impalcatura’ che sostiene la rigenerazione.

L’idea è stata sottoposta a esperimento tramite il gel, infuso nei topi, nei giorni immediatamente successivi all’ictus, insieme a molecole che stimolano la formazione di vasi sanguigni e sopprimono l’infiammazione, con quest’ultima che è la causa della formazione delle cicatrici che impediscono la crescita di nuovo tessuto funzionale.

L’effetto è stato quello di ottenere un tessuto cerebrale rigenerato con nuovi circuiti neurali mostrando un miglioramento delle capacità motorie. Un risultato mai conseguito prima d’ora ma che non chiarisce il meccanismo che ha prodotto questo effetto.

“Può essere che le nuove fibre nervose siano davvero funzionanti oppure che il nuovo tessuto migliori in qualche modo le performance del tessuto sano circostante” – ha affermato la biochimica Tatiana Segura.

Il gel biotech è stato completamente riassorbito dal corpo, lasciando soltanto il nuovo tessuto rigenerato, un risultato eccezionale che, di fatto, ha concluso l’esperimento.

Se Lui depresso, ridotte le possibilità che Lei resti incinta

Se Lui depresso, ridotte le possibilità che Lei resti incinta

La depressione maschile riduce le possibilità che Lei resti incinta sotto al 60%, lo dice uno studio USA pubblicato su Fertility and sterility

Sono minori del 60% le possibilità che Lei resti incinta se il suo uomo soffre di depressione. Questo il dato generato da uno studio effettuato dai ricercatori dell’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development (uno dei National Institutes of Health (NIH) del Dipartimento di Salute degli Stati Uniti).

Depressione maschile, ridotte le possibilità che Lei resti incinta
Depressione maschile, ridotte le possibilità che Lei resti incinta

In particolare, sono state esaminate coppie trattate per l’infertilità. Lo studio ha messo a confronto i dati generati da due ricerche differenti.

Una ha dimostrato che il 40% delle donne che cercano trattamenti per la fertilità, mostra sintomi di depressione, l’altra invece ha evidenziato che tra gli uomini che eseguono trattamenti di fecondazione in vitro, quasi la metà ha sperimentato questo problema.

I ricercatori dell’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development però, si sono spinti oltre a questi dati, cercando di capire qual è la potenziale influenza che la depressione può avere tra le coppie che cercano un figlio.

I dati dei due studi effettuati in precedenza, si riferivano a 1.650 donne e 1.608 uomini. Il dato che ne è emerso riguarda la difficoltà per il concepimento e la nascita del bimbo, per quelle coppie in cui l’uomo soffriva di depressione maggiore. In questi casi infatti le possibilità si abbassavano al di sotto del 60%, rispetto a coppie in cui l’uomo non manifestava problematiche di questo genere.

“Il nostro studio fornisce ai pazienti con infertilità e ai loro medici nuove informazioni da prendere in considerazione quando prendono decisioni terapeutiche” – ha detto l’autore principale, Esther Eisenberg.

Sideremia, cos’è e cosa fare se è alta o bassa

Sideremia, cos’è e cosa fare se è alta o bassa

Il ferro è un elemento importante essenziale per la vita perché è coinvolto in moltissimi processi biochimici come la formazione dell’emoglobina e dei citocromi; la sideremia rappresenta la quantità di ferro di trasporto nel sangue.

Per sapere qual è la quantità di ferro presente nel sangue è necessario conoscere i valori della sideremia che, per l’appunto, è misurazione della quantità di ferro presente nel plasma legato alla transferrina, la quale è invece la proteina che trasporta il ferro nell’organismo e per questo chiamata anche “ferro circolante”.

Sideremia, cos'è e cosa fare se è alta o bassa
Sideremia, cos’è e cosa fare se è alta o bassa

Proprio la sideremia misura questa quantità di ferro circolante, cioè di quello che viene assorbito dal fegato e dall’intestino, in particolare nel duodeno e viene trasportato ai tessuti dell’organismo che ne hanno bisogno.

Naturalmente, la sola misurazione della sidermia non è sufficiente a stabilire lo stato di salute di una persona. Per avere un quadro più completo è necessario infatti eseguire un’analisi del metabolismo del ferro, che comprenda la quantità di transferrina e la ferritina.

La misurazione della sideremia serve a rilevare eventuali forme di anemia, dati da confrontare con altre analisi. I valori sono espressi in microgrammo per decilitro (mcg/dl): 75/150 per gli uomini; 60/140 per le donne. Tali valori però possono variare, oltre che in base al sesso, anche all’età, allo stato di salute generale della persona, allo stile di vita e dunque all’attività che svolge.

La sideremia può quindi rientrare nella norma ma naturalmente può anche assumere dei valori alti o bassi. Un valore alto di sideremia può essere generato da una forma di anemia causata da un’epatite virale acuta, da malattie genetiche come la talassemia e dall’eccessiva presenza di ferro nel sangue in seguito a terapie, trasfusioni e stili alimentari sbilanciati. Una sideremia alta può essere causata anche da avvelenamento da piombo.

La sideremia bassa invece, può dipendere da un carente apporto di ferro nella dieta, un cattivo assorbimento del ferro a livello intestinale dovuto alla celiachia, al malassorbimento o altre patologie intestinali e a perdite o cali di ferro nell’organismo dovuti a condizioni fisiologiche come la gravidanza o le mestruazioni o patologiche come le emorragie.

Diabete, 1 malato su 2 vive in città

Diabete, 1 malato su 2 vive in città

Viene definito anche come diabete urbano, perché 1 malato su 2 vive in città. Per la prevenzione diventano determinanti gli stili di vita, è quanto affermano gli esperti

La nuova epidemia si chiama diabete urbano e affligge le città italiane. Nelle metropoli infatti v’è una maggiore concentrazione di persone malate di diabete, è quanto emerso dal 27/mo Congresso della Società italiana di diabetologia (Sid).

diabete
diabete

L’allarmante situazione nasce da una ricerca che pone la problematica sugli stili di vita delle persone. Proprio ai cittadini si rivolgono gli esperti esortandoli a cambiare le abitudini quotidiane.

I diabetologi, riunitisi a congresso, hanno lanciato un appello chiedendo di condurre una vita più sana e soprattutto sollecitandoli a muoversi maggiormente a piedi o in bicicletta a discapito di mezzi di trasporto meno salutari da questo punto di vista.

Sono queste le prime armi che aiuterebbero a prevenire questa patologia. «Il problema del diabete urbano è un problema globale. L’International Diabetes Federation prevede che nel 2045 i tre quarti della popolazione diabetica vivranno nelle metropoli o in città. Inoltre, si sta assistendo ad un incremento dell’obesità in coloro che vivono in aree urbane» – afferma il presidente Sid Giorgio Sesti.

E’ necessario dunque diffondere fra gli italiani una maggiore consapevolezza dei rischi legati al diabete, per tale motivo afferma Sesti che «Proprio per sensibilizzare le istituzioni ed i cittadini – afferma Sesti – la Società ha aderito al progetto Cities Changing Diabetes, allo scopo di promuovere stili di vita virtuosi».